S.T.F. Studio di Terapia Familiare
Studio privato di Psicologia e Psicoterapia
Individuo - Coppia - Famiglia
S.T.F. Studio di Terapia Familiare di Patrizia Valenti n° Partita Iva 03194561209
GENITORIALITA'
Non esiste una scuola per diventare genitori, però ...
Si sa, non esistono "scuole" che ti insegnino a diventare genitore. Nessuno prende un diploma nè una laurea. Anche i migliori corsi di formazione in scienze dell'educazione o in psicologia non fanno di te un genitore perfetto. Beh, ma allora aiutamoci! Magari con qualche piccolo trucco ...
Genitorialità: essere e sentirsi genitore
Regola n 1: I genitori di oggi sono i figli di ieri.
Con questo non voglio sottolineare o imporre una dimensione deterministica, per cui se un individuo ha avuto un'infanzia traumatica sicuramente la riproporrà al proprio figlio (per fortuna, le persone cambiano nel tempo - teoria dell'attaccamento secondo Patricia Crittenden), però è statisticamente molto probabile che si ripresentino i nostri "fantasmi del passato".
Diventare genitore significa non solo prendere consapevolezza di un ruolo che ci apparterrà per tutta la vita, ma anche fare i conti con le nostre figure genitoriali interiorizzate.
Come sono stati i nostri genitori? Che tipo di rapporto avevamo con loro? Cosa ci dava più fastidio di loro? Cosa non vorremmo assolutamente trasmettere ai nostri figli delle cose apprese? (tanto lo faremo ugualmente, probabilmente) e cosa invece vorremmo dare? (qualcosa di buono lo avranno fatto...)
Un esercizio utile, per quanto complicato e macchinoso all'inizio (richiede un grande sforzo mentale) è quello di domandarci di tanto in tanto in rapporto a nostro figlio: "Per chi lo sto facendo?".
Mi spiego meglio.
E' chiaro che se il bambino si diverte a dar fuoco a casa, è normale sgridarlo e dirgli che quello non è chiaramente un comportamento adeguato. Quando invece lo sgridiamo perchè -per esempio- sta giocando in un modo a noi poco congeniale, chiediamoci perchè lo stiamo sgridando. Cosa ci risuona dentro? Ci sgridavano da bambini per lo stesso motivo? Quanto la sua azione deve essere corretta per riparare antiche ferite interiorizzate e mai veramente rimarginate?
Questo esercizio vi aiuterà a capire meglio i nostri "confini mentali" rispetto agli altri: dove inizio io come genitore e dove finisce l'immagine di genitore interiorizzata, dove inizia mio figlio e dove finisce il figlio idealizzato che vorrei o dovrei avere/dare.
Cosa vuol dire essere 'contenitivi' ?
Probabilmente, vi sarà capitato di leggere o sentir dire (soprattutto da noi psicologi) che è importante che il genitore assuma una funzione contenitiva per favorire un sano sviluppo psico-emotivo nel proprio figlio. Ma cosa significa?
L'immagine è chiaramente quella di un contenitore, perchè in parte è proprio quella la funzione che deve saper svolgere un genitore. In altre parole, egli dovrebbe imparare ad accogliere tutte le rabbie, le ansie, i pensieri angosciosi e tanto altro, trattenerle, elaborarle e restituirle al proprio figlio in maniera meno angosciosa e angosciante. E' una sorta di rielaborazione di emozioni troppo intense, a cui vengono attribuite parole e significati.
"Essere contenitivi" significa anche non reagire con agìti o comportamenti violenti o impulsivi alle continue provocazioni dei nostri figli che testano l'autorità, il limite oltre il quale non si può andare.
Come dare le regole ai propri figli ?
Prima regola: mai sottovalutare i bambini
Anche se piccoli, sono astuti e sanno leggere perfettamente i segnali della comunicazione non verbale dei propri genitori (sguardo, gesto, tono della voce, silenzio,...). Una piccola incertezza o un'esitazione momentanea da parte di un genitore diventano subito un varco d'accesso per i nostri piccoli protagonisti, per cui capiscono da chi andare per "chiedere" o "pretendere".
Il trucco sta nell'anticiapre le loro mosse. Genitori, discutete prima tra di voi come e dove mettere dei paletti ai vostri figli. L'effetto che otterrete sarà duplice e sorpendente: vostro figlio otterrà da entrambi la medesima risposta e vedrà una coppia genitoriale fare squadra a livello normativo. Inoltre, la sensazione che avrà dopo sarà di maggior contenimento.
Altra regola fondamentale: quando vi rivolgete a vostro figlio in assenza dell'altro genitore, parlate al plurale. Dire "NOI abbiamo pensato che ..." anzichè "IO ho pensato che ... " fa la sua bella differenza!
Dire NO (senza sentirsi in colpa)
Dire di No è possibile. Difficile da dire, ma possibile.
La domanda allora è: come si mettono i paletti ai propri figli senza trasformarsi in un Generale?
Fin da subito i bambini avviano un processo di conoscenza e di apprendimento della realtà che li circonda: le prime "cose" osservate sono innocue perchè passano attraverso la selezione dell'occhio attento e scrupoloso del genitore, mentre le altre diventano "più pericolose" perchè scoperte individualmente al raggiungimento di una -seppur sempre limitata- autonomia motoria(gattonamento). E' chiaro allora che il "no" cambia di signficato rispetto all'età del bambino, ma le modalità più o meno si conservano nel tempo.
Tornado allora alla questione, come si dice NO ?
1. Pochi, ma buoni. Non limitiamo troppo l'esplorazione e la curiosità dei nostri figli. Seguiamoli passo a passo, ad una distanza ravvicinata in proporzione al'età che hanno. Diamogli il tempo di scoprire le cose e di fargli dare anche un significato. E' vero che apprendono per rispecchiamento, ma mettiamoli anche alla prova! Al primo inghippo o problema, ci sarete voi lì a dargli una mano. Se sentite riecheggiare troppi "no"... chiedetevi perchè e anche quanto non derivino da un vostro bisogno di fare altro (per cui non vi potete occupare di loro in quel preciso momento).
2. Il tono del NO. Il tono della voce è fondamentale. Chiaramente, più i bambini sono piccoli e prima arriva il tono rispetto al contenuto (cioè il motivo per cui state gli dicendo no). Il tono della voce deve essere congruo alla situazione. In altre parole dovrebbe essere sicuro, severo, secco, non ansioso: dovrebbe rimandare proprio all'idea di fermarsi, come se ci fosse un segnale stradale.
Non preoccupatevi del pensiero o del giudizio degli altri quando dite no. La cosa più importante è che giustifichiate sempre e comunque il motivo del vostro dissenso. Il bambino deve capire il perchè. Non deve accomulare dei semplici no. Solo comprendendone il reale significato di quell'azione, eviterà poi nel tempo di riprodurla.
3. Il NO è una forma di tutela. Il NO, il paletto, la sgridata dovrebbe essere fatta per rimandargli un idea di limite, di confine, superato il quale dovrebbe prestare più attenzione perchè rischierebbe, per esempio, di mettersi in pericolo. Il NO dovrebbe essere dato come forma di tutela del minore.
Se il bambino insiste e prosegue nel suo intento nonostante abbiate espresso tutto il vostro dissenso e in tutte le lingue, potremmo:
- chiederci perchè i nostri "no" non hanno effetto su di lui (come glieli abbiamo dati nel tempo e per cosa)
- avvicinarci a lui e chiedergli il motivo del suo interesse (collaborazione)
- spiegargli ancora una volta il motivo del pericolo, se esiste
- caricarlo in spalla nel caso in cui potrebbe potenzialente farsi male (toglierlo dal pericolo)
In generale, sarebbe meglio evitare frasi svalutanti e maltrattanti nei suoi confronti perchè non sta eseguendo un vostro ordine.
Come si spiega la MORTE ai bambini ?
La morte è un evento critico*, prevedibile, non scelto
EVENTO CRITICO*
Evento che fa vivere una situazione fortemente stressante a tutti i componenti familiari, tale da mettere in crisi il "normale" (in quanto abituale, quotidiano) funzionamento della famiglia stessa.
La portata dell'evento è soggettiva ed individuale; spesso ciò che mette davvero in crisi il sistema è la compresenza di più eventi critici che si verificano contemporaneamente andando a minare le basi della strttura familiare.
Di per sè, già questa definizione dovrebbe aiutare a far capire la differenza che intercorre nella rappresentazione di morte che può avere un adulto e quella che può avere un bambino. La dimensione della prevedibilità è fondamentale. L'adulto sa che prima o poi dovrà vivere un'esperienza di lutto. Se lo aspetta. Se lo immagina. Lo prevede. Un bambino no.
E' un'esperienza totalmente nuova e pertanto va seguita assieme a lui.
Ricorda
Il lutto ha una propria processualità.
Pertanto, richiede tempo per essere superato.
# Spieghiamogli cosa è successo. La presenza di un adulto che lo affianchi e lo aiuti a capire il momento e ad esprimere tutte le paure e i dubbi è fondamentale. Per questo motivo, c'è bisogno di tanta chiarezza e semplicità. Facciamo riferimento ad eventi naturali di facile comprensione (come le foglie che cadono in autunno) o ad esperienze di separazione sperimentate magari da un suo amico in relazione ad un animale (criceto, pappagallo). Pensiamo al mondo delle fiabe: si prestano tantissimo per affrontare i temi della morte e della perdita.
# Parliamo di emozioni. Chiediamogli di parlarci delle sue emozioni, confrontandole con le nostre (es; Io mi sento triste ... tu cosa provi?). Aiutiamolo a dare un significato alle proprie sensazioni perchè non rimangano lì, confuse, aggrovigliate, da qualche parte nella sua mente.
# NO agli eufemismi. Non usate spiegazioni del tipo “Il nonno è andata a dormire” oppure “la nonna è partita per un lungo viaggio”. Il rischio è quello di instaurare un’attesa senza fine, che si convincerà che prima o poi la persona tornerà, passando pomeriggi interi alla finestra sperando nel suo ritorno. Peggio ancora: poichè i bambini tendono ad essere egocentrici, nel senso che tendono a dare spiegazioni di quanto avviene sulla base di cose fatte/pensate da loro, potrebbero convicersi di aver detto o fatto qualcosa di sbagliato e cha tale pensiero o azione abbia poi portato quella persona ad allontanarsi, scaturendo dei sensi di colpa troppo gravosi per la sua tenera età.
# Rispondiamo a tutte le domande che ci farà. Parlarne ci farà chiaramente stare male perchè significherà prendere consapevolezza dell'assenza e della perdita di una persona amata. Tuttavia, la condivisione del dolore è l'unico modo che ci permette di sopravvivere al dolore stesso. Allora, aiutiamolo a conservare il ricordo della persona attraverso ricordi, emozioni e affetto.
# Rete di Parenti e Amici. Non isolatevi. Invitate piuttosto un parente o un amico da voi che rimanga lì per qualche ora di tanto in tanto. Potrebbe aiutarvi nell'organizzazione della quotidianità e a trascorrere del tempo con il bambino, senza necessariamente allontanarlo da casa. Nella distanza, le paure e le fantasie in un bambino aumentano. Non sono sempre viste come forme di tutele.
Qualche piccolo suggerimento ...
# Non escludiamolo dall'esperienza della malattia e/o morte. Anche lui, a modo suo, ha bisogno di capire cosa sta succedendo perchè probabilmente fino ad allora ha vissuto accanto a quella persona sviluppando un legame affettivo. Il rischio che sottostà all'esclusione è quello di dargli modo di creare delle strane fantasie e/o spiegazioni attorno alla malattia o alla morte, poi difficilmente comprensibili e collocabili. Mettiti nei suoi panni: come ti sentiresti se non ti facessero più vedere improvvisamente una persona a te cara senza darti alcuna spiegazione?
'Mamma, papà ... ho paura'
Già dal secondo anno di vita i bambini imparano a riconoscere elementi o situazioni che "spaventano", un po' perchè magari sono nuovi e quindi ricercano spiegazioni rassicuranti dicendo ai genitori che hanno "paura", un po' perchè magari incutono davvero paura.
Cosa fa veramente paura ad un bambino?
Vediamolo insieme.
Quando a far paura è il genitore
Sapevate di essere potenzialmente una paura? Beh, in effetti non vi dovreste stupire.
Il bambino fin da piccolo ha paura di essere abbandonato dal genitore e protesta fortemente quando viene separato da lui, attraverso pianti, urla e calci. Voi genitori siete la fonte di rispecchiamento dei vostri figli. Loro vi osservano e vi studiano, sempre. Imparano da voi quando ridere, quando essere tristi, quando agitarsi, quando arrabbiarsi. Imparano anche come fare tutte queste cose.
Paura del genitore che non si arrabbia mai
Crescendo, i bambini mettono sempre più a dura prova l'autorità genitoriale. Cercano nella naturale provocazione un limite, uno paletto, una regola. Alzando il tiro, osservano e apprendono le reazioni dei genitori. Imparano quindi che una volta raggiunto il "limite", il genitore si mostrerà davvero arrabbiato e pertanto avrà per esempio la faccia rossa, urlerà, si gonfierà una vena o forse anche due ... in pratica, esprimerà a modo suo la rabbia.
Cosa succede quando il bambino si trova di fronte un genitore super-controllato, che per primo è spaventato dalla propria rabbia (probabilmente non lo sa nemmeno) e pertanto non la esplicita?
Intanto, il bambino non vedrà i chiari segnali identificatori della rabbia sorpa citati. In secondo luogo, un genitore che non si arrabbia e pertanto non manifesta il limite oltre il quale il figlio non deve andare, fa paura. Fa paura perchè è potenzialmente più pericoloso/pauroso di chi li manifesta. Quando un genitore mostra la sua rabbia diventa prevedibile per un bambino e pertanto questi saprà cosa aspettarsi se oltrepasserà il limite.
Un genitore che non mostra la rabbia o la reprime o la trattiene, fa più paura perchè un bambino non vede mai l'"esplosione" del genitore e pertanto non saprà mai cosa aspettarsi.
Paura del genitore che si arrabbia ... troppo
Chiaramente questo tema merita un discorso a parte, anche se non è mia intenzione dilungarmi troppo su aspetti e dinamiche che sono molto più compicate di quanto non sembrino. Il genitore è colui che per definizione ha contribuito a dare vita al proprio figlio, a generarlo. E' colui che pertanto dovrebbe offrire amore incondizionato, cura, protezione.
Purtoppo, questo non sempre accade perchè non tutti hanno la fortuna di nascere all'interno di famiglie che hanno gli strumenti adatti per prendersi cura e offrire protezione e amore ad un figlio. Capita allora che certi genitori, un po' per quadri patologici non sempre ben visti, e un po' per tanti altri motivi, abbiano la tendenza ad agire le loro paure e le loro rabbie sui figli piuttosto che elaborarle. Non tutti hanno gli strumenti per farlo. Sconfinano in tal modo in comportamenti maltrattanti che compromettono chiaramente la salute psicofisica dei propri figli.
Tuttavia, un figlio piccolo non ha le lenti per poter leggere dinamiche familiari più o meno patologiche. Lui è nato li dentro, quello è il modello che apprende e che respira tutti i giorni. Ai suoi occhi il genitore che ogni tanto gli fa una carezza è anche quello che improvvisamente sconfina in comportamenti violenti, su di lui o sui suoi familiari.